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Veduta della Sala Clementina

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Veduta della Sala Clementina

IL MUSEO INFINITO | Il Seicento nascosto. Pitture svelate. Prima parte

Storia, opere e luoghi dei Musei Vaticani, a cura di Arianna Antoniutti

Alessandra Rodolfo

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Prosegue il viaggio nel «Museo infinito». Alessandra Rodolfo, curatore del reparto per l’arte dei secoli XVII-XVIII, e del reparto arazzi e tessuti, ci conduce alla scoperta del «Seicento Vaticano».

Descrivere le testimonianze artistiche seicentesche nei Musei Vaticani, al là dei famosi capolavori esposti nella Pinacoteca Vaticana, è compito arduo data la loro scarsa e frammentaria presenza all’interno del percorso turistico. Per esplorare il Seicento «vaticano» è, piuttosto, necessario addentrarsi nei meandri del Palazzo Apostolico, custode attento e segreto di testimonianze artistiche spesso ignote ai più.

Premessa fondamentale a tale scopo è ricordare la costruzione verso la fine del Cinquecento di un nuovo Palazzo Pontificio voluto da papa Sisto V (1585-1590), al secolo Felice Peretti, allo scopo di risolvere l’annoso problema abitativo dei pontefici che nel tempo avevano mutato continuamente la sede degli appartamenti papali. Superando l’idea di aggiunte e modifiche parziali al vecchio nucleo abitativo (ossia le Stanze di Raffaello e l’appartamento di S. Pio V), papa Peretti stabilì, così, di costruire per sé e la sua corte un nuovo e grandioso palazzo nell’area della vecchia «Curia Superior», di fronte alle Logge di Raffaello.
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Il nuovo edificio, con il suo ingresso principale nel cortile di san Damaso, cuore del Palazzo Vaticano, di sobria eleganza, dalla pianta regolare, fu dotato di ampi e numerosi spazi coordinati intorno ad un cortile interno centrale. Il prospetto principale volto a mezzogiorno sovrasta con la sua severità e integrità la piazza della maestosa Basilica di S. Pietro, dove i fedeli ancora oggi si assiepano ogni domenica per assistere all’Angelus che il Santo Padre pronuncia proprio da una delle finestre dell’edificio sistino.

Il nuovo palazzo, definito dal suo stesso architetto che lo realizzò, Domenico Fontana, «bellissimo e assai comodo per essere un luogho che ha bellissima vista e resta isolato da tre facciate sono cinque piani l’uno sopra l’altro e molto copiose le stanze grandissime, ne ha diciassette per piano, che in tutto sono ottantacinque senza le loggie e cantine», non fu mai abitato da Sisto V che morì prima che il complesso fosse terminato.
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La decorazione dei suoi ambienti spettò, dunque, ai papi successivi a cominciare da Clemente VIII Aldobrandini (1592-1605) a cui va il merito di avere terminato l’opera e di avere commissionato la sontuosa sala Clementina, che ancora oggi accoglie con magniloquenza chi entra nell’Appartamento Pontificio di Rappresentanza, luogo utilizzato oggi come allora con funzione di ricevimento e rappresentanza.
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Tripudio di colori «fini belli et vaghi, de più belli ...», preziosa di oro e azzurro oltremarino, rutilante di marmi colorati e di una vertiginosa architettura dipinta, la decorazione della Sala «nova» fu affidata dal pontefice ai fratelli Giovanni e Cherubino Alberti che, nel marzo 1596, iniziarono a dipingere il grande salone con la «Storia di san Clemente» che, insieme alle numerose armi Aldobrandini disseminate un po’ ovunque, svela l’intento di glorificazione del progetto pittorico volto a celebrare, tramite le gesta del santo eponimo, lo stesso Clemente VIII, primo tra i pontefici ad entrare nel nuovo palazzo.

Papa Aldobrandini, cui spetta anche la decorazione della successiva Sala del Concistoro, non riuscì a completare l’ornamentazione dell’appartamento che fu, invece, ripresa da Paolo V (Camillo Borghese, papato 1605-1621), il quale, subito dopo la sua elezione al soglio pontificio, tra il 1606 e il 1607, continuò il progetto affidando i lavori nelle dieci stanze successive a un équipe di pittori costituita da Ranuccio Semprevivo, Cesare Rossetti, Pasquale Cati e Gaspare Celio e coordinata dall’artista imprenditore Giovan Battista Crescenzi. In circa un anno le grandi sale vennero impreziosite con fregi in cui compaiono bei paesaggi inquadrati da personificazioni allegoriche e stemmi del pontefice Borghese.

Unica eccezione, l’ambiente oggi detto dei Papi, un tempo destinato ai Cavalieri di Cappa e Spada, ornato da pitture di un diverso gruppo di artisti costituito da Francesco Nappi, Prospero Orsi, Girolamo Nanni e Cristoforo Greppi. Nell’omogeneità dell’insieme, di particolare pregio sono le Vedute della facciata del cortile di Palazzo Borghese e le scene di vita eremitica, inserite in affascinanti marine o in paesaggi punteggiati di borghi e rovine.
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Stupisce per una sede così prestigiosa la scelta di artisti «minori» rispetto al panorama artistico del momento che avrebbe permesso ben altri nomi. In realtà, se si eccettua l’unicum degli affreschi di Guido Reni, Paolo V sembra adottare per gli ambienti vaticani una «regia artistica» analoga a quella dei due predecessori Gregorio XIII (1572-1585) e Sisto V, scegliendo artisti in grado di affrescare vaste superfici in modo veloce e con risultati soddisfacenti benché non mirabolanti. Così è nelle due Sale Paoline delle Gallerie della Biblioteca (aperte al pubblico) per cui il pontefice, all’incirca negli stessi anni, chiamò cosi come nell’Appartamento Pontificio, artisti meno noti di formazione tardo cinquecentesca particolarmente esperti e veloci, in grado di coprire rapidamente e con un buon esito ampi spazi.
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Del lavoro pittorico fu incaricato, infatti, l’attivissimo pittore novarese Giovan Battista Ricci, già aiuto di Cesare Nebbia e Giovanni Guerra nel Salone Sistino della Biblioteca, che, coadiuvato da un gruppo di pittori a cui egli stesso dovette fornire i disegni, sviluppò il compendioso programma iconografico dettato dal Bibliotecario Baldassare Ansidei, volto a celebrare le iniziative promosse dal pontefice e di alcuni suoi predecessori a favore della Biblioteca.

In un caleidoscopio di colori e immagini, sulle pareti e volte dei due ambienti adibiti a ospitare i manoscritti greci della biblioteca (ancora oggi muniti di armadi che sono quelli d'epoca), sfilano così a ricordare gesta ed eventi della storia passata e del pontificato Borghese, personaggi antichi e contemporanei tradotti in uno stile che oscilla tra austerità post tridentina e nuove istanze classiciste.
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Come accennato precedentemente, unica eccezione a tale regia stilistica omogenea, il papa fece per la decorazione della nuova ala di palazzo che volle aggiungere al vecchio palazzo vaticano al fine di creare una comunicazione diretta, tramite una scala segreta, del complesso palaziale con i giardini da lui appassionatamente amati e curati. Una passione che si concretizzò in un gruppo di monumentali e belle fontane visibili affacciandosi dalle finestre della Galleria delle Carte Geografiche, che ricordano ancora oggi l’amore del Borghese per gli horti vaticani che il pontefice «colorò» con fiori delle più diverse specie, ricercati e scambiati con ogni parte del mondo conosciuto.

In questa zona del palazzo, oggi parte del percorso museale, fu il divino Guido Reni, pittore di primo piano nel panorama artistico dell’epoca, ad affrescare le due nobili sale delle Nozze Aldobrandini (accessibile al pubblico tramite la Sala degli Indirizzi nelle Gallerie della Biblioteca) e delle Dame (attualmente non visitabile, situata al secondo piano, al termine della Galleria delle Carte Geografiche, nell’appartamento oggi detto di san Pio V ).

Tra il 1608-1609 il Reni decorò il soffitto della sala delle Nozze Aldobrandini con tre episodi della storia di Sansone («Vittoria di Sansone sui Filistei», l’«Uccisione del leone» e l’«Episodio delle Porte di Gaza») tesi a glorificare, tramite l’illustrazione delle virtù del mitico eroe dell’Antico Testamento, le doti del potente cardinale nipote Scipione che lì aveva la sua abitazione vaticana. Mentre, nella volta della Sala delle Dame, l’artista effigiò i Misteri della Fede (la «Pentecoste» affiancata da due tondi con l’«Ascensione» e la «Trasfigurazione») che, incorniciati da raffinati stucchi bianchi e dorati in cui campeggiano l’aquila e il drago Borghese, alludevano alla figura del pontefice che in quelle stanze dovette forse alloggiare. «Tale fu la gentilezza, la grazia e ’l sapere del penelo di Guido…» che Paolo V ne rimase così ammaliato da commissionare all’artista la decorazione della sua cappella privata nel Palazzo del Quirinale.

IL MUSEO INFINITO
Un viaggio dentro i Musei Vaticani accompagnati da guide d’eccezione: i curatori responsabili delle sue collezioni
A cura di Arianna Antoniutti

Soffitto della Sala delle Dame, di Guido Reni

«Vittoria di Sansone sui Filistei», di Guido Reni, nella Sala delle Nozze Aldobrandini

Veduta di una delle Sale Paoline

Particolare di affresco nella Sala dei Pittori dell’Appartamento Pontificio

Particolare di affresco nella Biblioteca dell’Appartamento Pontificio

Particolare di affresco nella Sala dei Pittori dell’Appartamento Pontificio

Alessandra Rodolfo, 09 agosto 2023 | © Riproduzione riservata

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